
Diario di bordo
Scuola “Liceo Vittoria Colonna” sezione Ospedaliera “Bambino Gesù” di Palidoro
Il 14 settembre 2020 è una data da ricordare per gli insegnanti del “Liceo Vittoria Colonna” di Roma, che entrano, per la prima volta, nella sezione ospedaliera del “Bambino Gesù” di Palidoro.
Tante sono le emozioni e contrastanti tra di loro. L’entusiasmo per il nuovo è accompagnato dall’incertezza del non conosciuto; gli adattamenti richiesti per adeguarsi all’emergenza sanitaria legata al Covid-19; le nuove relazioni da tessere tra colleghi e gli operatori sanitari; la realizzazione di progetti adeguati e da svilupparsi all’interno di un sistema complesso.
Un posto centrale lo ha il rapporto con i ragazzi degenti, con i quali stiamo imparando ad entrare in relazione in punta di piedi, perché, ognuno di loro ha una storia particolare che li ha condotti in ospedale e con i quali creiamo percorsi didattici personalizzati.
La mission della scuola in ospedale è quella di continuare il percorso scolastico, temporaneamente, interrotto dalla degenza e permettere agli studenti e studentesse di proseguirlo, con l’aiuto degli insegnanti presenti in ospedale. Tale percorso va pianificato, di volta in volta, se lavoriamo con le brevi degenze, più organizzato, se lavoriamo con ragazzi in lunga degenza.
La didattica in ospedale ha, quindi, la caratteristica di flessibilità nei contenuti, nei modi, nei tempi, negli strumenti utilizzati. Inoltre, non può prescindere dal contesto in cui è esercitata; un contesto carico di ansie e preoccupazioni legate alla propria salute.
A volte, accade che proprio la didattica diventi uno strumento utile per trasformare queste paure e accantonarle per un po’. Creare uno “spazio altro” nel quale la mente può “trasportarsi” al di fuori dell’hic et nunc. E come per magia, il ”corpo dolorante” va nello sfondo e perde la sua centralità, cedendo il posto ad una piacevole distrazione che nel contempo insegna e guarisce.
Due storie sono un esempio di questo processo:
Storia di Alessandra
Alessandra e una ragazza di 17 anni, ricoverata nel reparto di oculistica, ha una flebo al braccio, il corpo teso, il volto dolorante. L’insegnante Eleonora si avvicina e le chiede qualche informazione, scopre che ha molti interessi, ha un percorso scolastico ottimo, vuole continuare gli studi all’estero, parla inglese perfettamente e decidono di continuare la conversazione in questa lingua. Gli argomenti trattati sono tanti, spaziano su varie tematiche. Piano piano Alessandra racconta dell’esperienze vissute in America, dei problemi con i suoi coetanei, le delusioni amorose, è contenta di parlare in inglese e ascoltare le spiegazioni della prof.ssa sui cambiamenti ormonali e gli stati emotivi. Il suo dialogo è sempre più fluido e rilassato, anche il braccio, prima bloccato, si rianima e accompagna con movimenti morbidi la conversazione. Trascorre così circa un’ora, il suono della flebo avvisa che il contenuto è terminato e lei stupita dice “E’ già finita? Non me ne sono nemmeno accorta”. Tutti ridiamo, compresa la mamma che, ora non più tesa, ringrazia Eleonora di aver trascorso “quel tempo prezioso” con sua figlia. Loro sono contente, noi siamo contente, le salutiamo sperando di rivederci in un altro posto ed occasione.
Storia di Federica
Nel reparto di Ortopedia seduta su una sedia a rotelle c’è una ragazzina, mi avvicino e le chiedo il nome e che scuola frequenta, risponde: “Federica, frequento il Liceo delle Scienze Umane a Barletta, ho 14 anni”, felice le dico che insegno Scienze Umane e se le va di fare lezione. Timidamente, con voce impaurita e il viso pallido, mi dice di si e che sta aspettando di essere chiamata per andare in sala operatoria. Parliamo un po’ della sua paura e ogni rumore le è causa di distrazione, guarda nel corridoio se arriva la barella per lei….le dico che la capisco e al suo posto, anche io, avrei tanta paura…..
Poi le chiedo l’ultimo argomento trattato dalla sua insegnante di psicologia e mi dice: “la maieutica di Socrate”, bene, cominciamo a disquisire sull’argomento e comincia ad infervorarsi, il corpo si attiva, le gote prendono colore e incalza con le domande, vuole sapere, vuole capire…….nessun rumore ora la distoglie dal mio sguardo e insieme ci intrecciamo in un dialogo che dura 45 minuti, fino all’arrivo della barella. Esco, aspetto fuori dalla stanza per salutarla e darle una parola di conforto. Esce sulla barella e sorridendo mi dice: “Grazie, avevo dimenticato che questa mattina dovevo operarmi”; “Prego” le rispondo, “Stai tranquilla, torno dopo a vedere come stai”, mi saluta mandandomi un bacio con la mano ed io, felice, contraccambio.
Ho sempre pensato che l’insegnamento non è solo un mestiere, è un’arte del trasmettere e del ricevere, non solo contenuti nozionistici, ma anche, contenuti relazionali, emotivi, valoriali che contribuiscono alla crescita reciproca e sinergica di tutte le persone che si incontrano in questo meraviglioso processo. Che l’insegnamento fosse anche uno strumento “curativo”, capace di creare orizzonti nuovi nei quali la mente può spaziare libera dalla malattia, è un aspetto che sto imparando ora.
LiberaMente
La malattia pensa di averci beffato
e nella tristezza relegato.
Lei non lo sa
che i corpi li abbiamo lasciati là.
La mente non ha paura
di lasciare queste mura,
e insieme volare sulla vetta di un monte,
ad ammirare l’orizzonte.
Che valli incantate,
strade inesplorate,
le nostre risate.
Lei non lo sa
che voliamo sulle ali della libertà,
tracciamo nuovi percorsi
rincorrendo i nostri discorsi.
Lei non lo sa
che il tempo svuotato di quantità,
lo abbiamo riempito di qualità.
Quant’è bella questa umanità,
che accoglie il dolore
e lo trasforma in Amore.
Francesca Consoli